sabato 21 novembre 2015

I giornali in tempo di guerra




C'è un conto che non mi torna.
I giornali e le televisioni che ci invitano ad attrezzarci per la catastrofe, ad organizzarci per una vita di stenti, di terrore e sangue, non sono forse gli stessi che non molti anni fa ci infarcivano la mente di top manager, top model, top segretari di partito e luccicavano d'oro e di successo?

Sì, sono gli stessi.
Non ho mai capito, pur lavorando per anni nel settore, se e in quale misura sono loro ad influenzare gli umori del paese e se e in quale misura ne sono influenzati.

Diciamo, in estrema sintesi, che non mi fido più. Non mi fidavo quando i media raccontavano di un paese in cui dovevamo stare sereni, che la strada imboccata era quella giusta e non fido ora che ci descrivono poveri e angosciati.

Nella realtà ho capito che molti di noi dovranno ridiscutere, forse drasticamente, consumi e tenore di vita.


E ho deciso che il primo taglio sarà destinato al consumo di giornali e televisione...

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